Concerti, Sting: la recensione dello show di Milano...
La gente che occupa il piazzale davanti al Teatro degli Arcimboldi di Milano per
il concerto di Sting è un po' di tutti i tipi. Dai giovani acculturati e signori
borghesi, a rocker amanti dei vecchi Police e persone normali, magari solo
curiose di vedere cosa combinerà questa sera il Nostro in versione orchestrale.
Il live è la rappresentazione dal vivo estesa dell'album appena pubblicato dal
cantante, un disco nel quale vengono rivisitati i maggiori successi di Sting e
Police riarrangiati dalla Royal Philharmonic Concert Orchestra di Londra diretta
da Steven Mercurio. Ore 20.10, sul palco fa il suo ingresso l'Orchestra che
sembra non finire mai. I musicisti prendono posto e salutano, cominciano ad
accordarsi in un'atmosfera sì da grandi eventi ma anche molto informale e
rilassata. Calano finalmente le luci, entra anche la band composta dalla
vocalist Jo Lawry, lo storico chitarrista Dominic Miller, David Cossin (percussioni),
Ira Coleman (basso), ed infine, tra gli applausi di tutti, entra il Maestro. Le
prime note, perfette, impeccabili, di 'Faith' si alzano nell'aria e accompagnano
l'entrata in scena del protagonista della serata che da bravo professionista
comincia a svolgere il suo compito in classe, infilando una dietro l'altra
canzoni memorabili come la bellissima 'Every Little Thing She Does Is Magic' (da
'Ghost In The Machine', 1981), caratterizzata da un crescendo di archi e
percussioni da far venire gli occhi lucidi, anche se non mantiene lo stesso
spessore per tutta la durata del brano, forse troppo ricco di arrangiamenti e
cambi strumentali per rendere come dovrebbe, ma indimenticabili alcuni passaggi.
Sting si dice contento di essere a Milano, presenta l'Orchestra e il Maestro e
arriva la clarinettista solista che regala una stupenda versione di 'Englishman
in New York' (da '…Nothing Like The Sun' del 1987), con grandi bassi e pizzicate
di corde, archi e chitarre. Chitarrino alla mano ed ecco che attacca 'Roxanne'
(primo singolo del disco d'esordio del Police 'Outlandos d'Amour' del 1978) e
grazie alla scenografia (due parallelepipedi giganti sospesi sopra le teste
degli orchestrali che richiamano la copertina dell'ultimo album di Sting e che
sono ricoperti da led luminosi che proiettano immagini e luci) il palco si
colora tutto di rosso e violoncello e clarinetto fanno a botta e risposta a suon
di assoli. ''Come state, bene? Volevo raccontarvi che ci sono due tipi di
canzoni d'amore: quella in cui io ti amo e tu mi ami, che non è molto divertente,
e quella in cui io ti amo e tu ami un altro, che è molto più divertente,
dolorosa, certo, ma divertente'', e su queste parole parte 'When We Dance' (da
'Fields Of Gold' del 1994), dove entrano due ballerini (lei è anche una
musicista dell'Orchestra) che eseguono un lento e dolce tango. Sting sembra
essersi scaldato, la voce è più profonda e incisiva, la sua interpretazione più
viva ed intensa.
Presenta 'Russian', e di nuovo tutto si colora di rosso e niente di meglio
dell'Orchestra può rappresentare atmosfere zariste, epiche, trionfali e
imperiali come in questo caso, con un assolo finale di tromba da far venire i
brividi sotto pelle. ''I Hung My Head'' prosegue dolce e decisa, anche se è con
la bellissima 'Fields Of Gold' che Sting dà il meglio di sé e prepara il
pubblico per il finale della prima parte con una versione incendiaria di 'Next
To You', con Orchestra in piedi, Miller che corre a fare i cori con la
bravissima e scatenata vocalist, e mentre i fiati stanno a guardare, basso e
batteria fanno drizzare i capelli in piedi a quelli delle prime file.
La seconda parte del concerto sembra scorrere più veloce, anche se alcuni
capolavori fatti subito all'inizio ('Every Little Thing She Does Is Magic' su
tutte), potevano essere inserite ora, con tutta la calma e la carica giusta per
eseguirle. Nessuno però si lamenta visto che il Nostro attacca con 'A Thousand
Years' dove il Maestro Mercurio sembra davvero danzare con la sua bacchetta,
come fosse un mago, come fosse Topolino in 'Fantasia' della Disney (che non me
ne vogliano i musicisti, non indendo di certo paragonarli a scope e secchi pieni
d'acqua). 'This Cowboy Song' è uno dei momenti più divertenti, la band di Sting
si mette a ballare la quadriglia mentre da dietro gli archi girano gli archetti
sopra le loro teste come fossero lazzi. 'Tomorrow We'll See' risalta la sezione
ritmica, 'Bourbon Street' è lugubre e sinistra grazie anche al theremin sul
finale, 'All Would Envy' porta con se arrangiamenti latineggianti e trombe quasi
mariachi, mentre potente è l'introduzione di 'Mad About You'. Il finale si
avvicina, 'King Of Pain' è puro rock'n'roll come del resto la seconda parte del
live, centrata maggiormente sui brani più recenti di Sting. Arriva anche 'Every
Breath You Take' (da 'Synchronicity' del 1983), arriva in punta di piedi, arriva
e il pubblico quasi nemmeno esplode per non perdersi nemmeno una nota. Quasi
rende meno di tutto le altre, come se fosse un brano già di per sé perfetto che
non ha bisogno di altre vesti (a meno che tu non sia Puff Daddy).
Il finale comunque è da cardio palma, tutti che si alzano e corrono sotto il
palco per godersi da vicino gli ultimi attimi. Tutti in piedi - tranne qualche
radical chic troppo impegnato a ridere degli altri - e tutti a battere le mani
su 'Desert Rose' e 'She's Too Good For Me' dove l'orchestra dà il meglio di sé
trasformandosi quasi in una big band e sfidandosi, archi e fiati, attraverso una
serie di coreografie deliranti quando divertenti. Le note di 'Fragile' e gli
applausi del pubblico fanno calare il sipario. Tre ore, tre ore di canzoni e
atmosfere diverse, luci e arrangiamenti, momenti divertenti e altri da brivido.
Ottima performance, e ottima promozione per il tartufo di alba: Sting è la
dimostrazione che se anche ricevi in dono un tartufo bianco di 150 grammi e lo
assaggi con moglie e amici, il giorno dopo canti come un usignolo.
© Rockol by Daniela Calvi